Domenica 10 – Sirtaki e romanità

È sempre colpa di quella stupida allergia, quella che mi porta a cercare un posto dovre respirare un po’ meglio e sconfiggere quel fastidioso prurito al naso. Quella sera in agosto, ero a Roma e mi sono trasformata in uno starnuto ambulante, roba da non volerci credere. Ma gli starnuti si susseguono senza fine e mi scrollano tutta, tanto che la gente dopo un po’ smette di dirmi “salute”, perché non riesce a starmi dietro.

Avevo già finito tutte le scorte di fazzoletti di carta, quando l’unica buona idea per passare la serata era fare un giro a Ostia.

Per me Ostia è sempre stata solo il mare, un gran lusso averlo così vicino alla città. Perché l’idea di poter pensare, dopo una qualunque giornata di lavoro: “stasera vado a cena sulla spiaggia”, mi è sempre sembrata un lusso inconcepibile per me che sono cresciuta in pianura e che al mare ci sono sempre andata massimo un mese all’anno.

Ma Ostia la sera si trasforma in qualcosa di diverso: al di là del traffico e della confusione, io di Ostia mi porto a casa il pontile in mezzo al mare che, a seguito di una sosta lunga mezz’ora affacciata alla balaustra, mi ha fatto passare la fastidiosa allergia, grazie all’aria salmastra e a un tizio che suonava il sirtaki, così fuori luogo da sembrare la giusta colonna sonora per una serata partita male.

E anche i krapfen del bar in piazza che sono sempre caldi o i tavolini pieni di gente. Le famiglie a passeggio, i locali sulla spiaggia dove ti puoi sedere e passarci tutta la notte senza che nessuno ti faccia alzare.

Per me Ostia vuol dire gli stabilimenti balneari dove trovi tutto, la sabbia nera che in un giorno ti fa abbronzare come in un mese. Il tizio che passa con la grattachecca, termine romano per definire la granita, e che fa tanto ridere solo a pronunciarlo, lo zumba in riva al mare, i tramezzini sotto l’ombrellone.

I baristi che chiacchierano con tutti e di tutto fregandosene della gente in fila che aspetta di pagare e le signore abbronzatissime col copricostume bianco.

E perché no, anche il cocomeraro in postazione sulla Cristoforo Colombo, organizzatissimo col suo banchetto, che smercia fette di anguria a 1 euro, ti dice di non preoccuparti se c’è pieno di api, perché tanto non ti fanno niente. Ti guarda sorridendo col suo unico dente e nel frattempo ti chiedi come faccia a resistere lì, con lo smog, il caldo e l’emergenza incendi che in poco tempo si sono divorati una pineta antichissima lasciandosi dietro solo sterpi bruciati.

Eppure resiste.

Quando ho letto le notizie sulle mafia, gli episodi di violenza di Ostia, non ho potuto fare a meno anche io di scrollare la testa con rassegnazione.

Quando ho visto gli speciali tv in cui venivano intervistati gli abitanti di Ostia con aria grave, mi è sembrato che si stesse mettendo a nudo l’ennesimo pezzo di un’Italia a pezzi.

Ma davanti a tutto questo dramma, non ho potuto fare a meno di pensare che chi aveva fatto il servizio, poteva allungare un po’ il passo e fare un giro sul pontile, la sera, in estate, e anche se non aveva bisogno di aria salmastra per farsi passare un raffreddore, magari avrebbe trovato ancora il tizio che suonava il sirtaki.

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Quanto sei bella, Roma? Lasciatevi sorprendere da quello che potreste vedere in un qualsiasi incrocio in mezzo al famigerato traffico romano.

Cose da fare: se siete da quelle parti, una passeggiata a Ostia in riva al mare, farà passare cattivi pensieri e stonature domenicali. In piazza troverete il bar che vende krapfen, in caso vogliate sfidare le calorie. Per il cocomeraro, aspettate la bella stagione.

Canzoni da ascoltare: Antonello Venditti – Quanto sei bella Roma.

Film da (ri) vedere: su Roma, passato e presente Il Gladiatore, Vacanze Romane, Manuale d’amore.

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