Sembra che vada di moda fare un diario della quarantena, o per lo meno parlarne. Probabilmente esorcizza l’attesa. Sicuramente ultimamente è tutto una diretta: ricette in diretta, canzoni in diretta, dibattiti in diretta, aperitivi, corsi di pittura, tutto in diretta dalle nostre case. Se non fossimo tutti chiusi dentro, probabilmente sarebbe stata una Pasqua come tante.
Invece quest’anno abbiamo l’occasione unica e irripetibile di inventare da zero un tempo nuovo, creare nuove abitudini o recuperarne di vecchie. Sarebbe stata una Pasqua come tutte le altre, con la grigliata, il prato pieno di margherite, scorribande di parenti e amici, il clima troppo caldo o troppo freddo, per cui qualcuno si prende sempre un raffreddore. Le prime passeggiate in riva al mare, che ti sembra di stare già in vacanza, se non che il lunedì ti ritrovi in coda al casello insieme a tutti gli altri e pensi che avresti voluto allungare le vacanze, ma tanto non puoi farlo. L’uovo che scopriamo essere al latte quando invece ci piace fondente e la sorpresa che quasi sempre è orribile. Non riesco a ricordare una sorpresa carina dentro all’uovo di Pasqua, chissà perché si impegnano così tanto a creare una tale rassegna di orrori. Quest’anno invece siamo fortunati se siamo riusciti a recuperarne uno perché ormai erano esauriti ovunque. E siamo fortunati se siamo riusciti a organizzare il pranzo con le cose che volevamo, perché magari siamo usciti per comprare gli asparagi, ma abbiamo trovato i carciofi, o cercavamo la carne, ma abbiamo comprato il pesce.
Nel mio caso la quarantena si potrebbe riassumere con una sola parola: balcone. Un balcone microscopico pieno di piante, mai utilizzato per davvero, se non due ore all’anno a inizio maggio, perché poi faceva troppo caldo. Il balcone si affaccia su un giardino interno senza vie di uscita, tecnicamente si potrebbe definire un giardino segreto o un giardino inesistente: se non ci abiti non sai nemmeno che esiste. E invece il mio balcone in questi giorni di isolamento forzato si è trasformato in una graziosa depandance, insieme a quello di tutti gli altri. Ad esempio: la mattina apro la finestra e c’è già qualcuno appostato al sole per testare l’abbronzatura cittadina. Dopo tanti anni, abbiamo probabilmente scoperto il valore prezioso di quel mezzo metro quadro abbarbicato tra una finestra e l’altra e ognuno ha imparato a viverlo a modo suo. Chi fa colazione, chi legge libri, chi suona la chitarra, chi fa video chiamate, chi lo utilizza per costruire un’amaca. Sì, proprio così, non pensavo fosse possibile, ma a quanto pare si può fare anche questo. Di necessità virtù. Il balcone mi ha insegnato che non siamo mai veramente soli e che ci possiamo adattare agli spazi più angusti, al sole a picco e ai suoni che fanno gli altri finchè diventano il nostro sottofondo. Che poi verso sera diventano un interessante mix non identificato di voci, squilli del telefono, canzoni che vanno dal latino americano al folk, rumore di piatti, aspirapolveri, voci di bambini e parole sommesse. Non si capisce niente, ma è bello così. Se danno fastidio, basta chiudere la finestra.
Questa domenica è dedicata alla Pasqua che vi siete inventati, sicuramente non era quella che volevate, ma sarà una Pasqua diversa che un giorno ricorderemo tra pianti e risate. Alle grigliate che abbiamo organizzato in passato, ai pranzi intorno al tavolo che finivano alle quattro del pomeriggio e a quelli che abbiamo arrangiato oggi come meglio potevamo. Alle uova mangiate, cercate, acquistate online e alle sorprese che sono finite in un cassetto. A chi già pensa all’allenamento in salotto per domani, in modo da smaltire quello che si è mangiato oggi. E a chi pensa che questo strano tempo che ci inventiamo ogni giorno per dargli un significato, nel suo non senso quotidiano, ci stia in realtà insegnando tanto.
Da ascoltare: The head and the heart – Let’s be still